Dopo un istante
Lentissimo, silente
Un fiocco cade
La società che non viene illuminata dai pensatori, finisce ingannata dai ciarlatani - de Condorcet
È di nuovo una cosa intima, lasciate perdere se non ne avete voglia.
Qualche mese fa, forse l'ultima primavera, ricordo che gironzolavo nervosamente fra l'ingresso, lo studio e il soggiorno di questo appartamento che non sarà mai casa. Avevo voglia di sedermi con mia mamma, una tazza di caffè caldo in mano, a chiacchierare. Mi sarebbe bastato anche sedermi io qui e lei là, il telefono a bruciare i 1000 km di distanza.
Non le ho telefonato. Se avessi chiamato, lei avrebbe ripetuto meccanicamente le stesse 4 frasi che da tempo costituivano il suo repertorio: non va male ma neppure bene, dobbiamo aspettare che passi questo periodo, Tommaso e Matilde sono sempre contenti di fare quello che stanno facendo? poi mi spieghi come si fa la pastina...
Quel giorno non l'ho chiamata: avevo troppa voglia di una vera conversazione fra me e lei, e non l'ho chiamata.
Non sono pentita di non averlo fatto, non è questo, è che fa male la consapevolezza che non le parlerò mai più.
Ora tocca a me, stanotte è il mio turno in ospedale a guardare sul monitor numeri sempre più bassi: pulsazioni, saturazione, atti respiratori, pressione. Gli allarmi che ritmicamente suonano hanno sostituito la sua voce e, finché suonano, significa che lei è ancora con noi.
Ma quei numeri non sono mia mamma, mia mamma è distesa sul letto qui accanto, occupata in una laboriosa sequenza di inspirazioni-espirazioni che consumano le scarse energie che le sono rimaste.
Non passerà la notte, spero: nessuno merita questa agonia, soprattutto non la merita lei.
Ieri, 15 ottobre, era il suo compleanno, abbiamo celebrato 79 anni di vita minuscola: marito, figli e nipoti, sorelle un fratello cognate e cognati e altri nipoti, consuoceri e pochissimi amici. Minuscola se vista da fuori, come milioni di altre vite minuscole che però quando si spengono lasciano un vuoto incolmabile.
Passerà il dolore, passa sempre. Spero solo che per mio padre non sia troppo.
Ho amiche meravigliose (e una cugina e pure un fratello…) che mi ascoltano, mi capiscono e non mi lasciano sola anche se sono diventata una palla monotematica (grazie C, L, M, S, L, S, R, E, M, S, quasi un alfabeto intero…)
Sono in Italia e non si schiatta di caldo
Posso sempre tornare a casa, e “casa” è, di volta in volta, l’Italia, la Francia o l’Inghilterra
Entro ancora nel mio abito da sposa, cosa non scontata alla mia età e con i miei yo-yo ponderali
Mia suocera mi stima, altra cosa assolutamente non scontata
In un mare di seriosità e cupezza, la famiglia di mio marito mi offre momenti di pura leggerezza, dovrei approfittarne di più
Tralascio di citare motivi più ovvi di gratitudine: figli, salute eccetera. Questi, come sempre accade, si notano solo quando mancano
E poi ci siamo noi, che siamo contemporaneamente troppo giovani per sapere qualcosa della vita e troppo vecchi per avere un qualsivoglia legame con la contemporaneità.
Quelli che quando parlano è sempre sbagliato, che sia coi genitori, coi figli e talvolta anche coi coetanei, fratelli o amiche che siano. "Non è così" è il commento che mi sento rivolgere più frequentemente, talvolta mitigato da un "proprio" messo lì per decenza.
Quelli che devono capire le difficoltà della terza età (dicamo pure quarta, dai...) e quelle dell'adolescenza che fa niente se hanno abbondantemente superato i 20, sempre da adolescenti si comportano. E ci mancherebbe: vivono vite costellate di prime volte, come vuoi che si comportino?!
Quelli che ascoltano le lamentele di tutti: salute e solitudine e amici insensibili e morosi/e dal comportamento inspiegabile e impegni di lavoro e di faccende domestiche, e conti da far quadrare e la fatica, la fatica...
E noi invisibili, schiacciati fra un "tu sei troppo giovane per capire", un "tu sei troppo vecchia per capire" e a volte "tu sei troppo fortunata per capire".
Disclaimer: è solo una roba intima, non commento alcuna notizia. Se non avete voglia passate oltre...
Mio figlio, dottorando a Milano, la scorsa settimana è partito con tutto il suo gruppo del dipartimento alla volta di Monaco di Baviera per la sua prima conferenza. Ha anche avuto il suo spazio per illustrare la sua ricerca a colleghi di provenienza varia: 20 minuti di presentazione, parlando davanti a ricercatori e docenti di mezzo mondo. Poi ha ascoltato, chiacchierato con rappresentanti del mondo dell'industria, esplorato idee nuove e condiviso ipotesi con persone interessanti. Una gran bella prima volta, ce n'è da condividere!
Cosa mi ha raccontato? Che a Monaco si mangia male, che ha dormito poco e che non trova più i suoi pantaloni neri.
Mia figlia oggi ha discusso la tesi: lavoro sperimentale sull'uso del ferro come catalizzatore al posto di altri elementi più costosi o più pericolosi. Mi aveva chiesto di leggerla e di mandarle le mie osservazioni. L'ho fatto, ma io di chimica arrivo giusto alla formula bruta del glucosio (C6 H12 O6, forse...), quello che ha scritto per me è arabo. Sapevo che oggi le avrebbero fatto domande interessanti e avrebbero commentato la struttura della tesi e le possibili indagini ulteriori. Se anche non capisco i tecnicismi, posso capire il momento. Non si discute una tesi tutti i giorni: sai l'emozione... ce n'è da condividere!
Cosa mi ha raccontato? Niente. Di sua iniziativa non mi è arrivato neppure un whatsapp, magari il minimo sindacale: "ho fatto, tutto bene, ti chiamo dopo".
Ho sempre pensato che si parla volentieri solo con chi sa ascoltare.
Meglio che io cominci a fare autocritica.